giovedì 30 dicembre 2010

il fantasma dei natali passati

Ecco, col consueto ritardo, alcune reminiscenze dei miei trentadue natali passati. Senza entrare troppo nel dettaglio, visto che ora non ho molto tempo e per di più non voglio bruciarmi gli argomenti per i Natali futuri.

Nel primo Natale che ricordi compare un robot di plastica rosso, arancione e blu scuro, con una trivella al posto del braccio. Quanti anni avrò avuto? Lo scenario è la cucina arancione della casa dei miei genitori, e a fuoco c'è quel soprammobile di - credo - peltro a forma di fagiano. Non ricordo quando ho smesso di credere a babbo Natale, ma ho un ricordo di me in salotto che guardo dalla finestra verso il cancello di Via Mompissano da cui sarebbe presumibilmente arrivato. Mi rivedo inoltre interrogarmi di fronte al presepe su quali fossero i rispettivi ruoli di Babbo Natale e Gesù Bambino. Ricordo una recita di Natale dell'asilo, con un foglietto da imparare a memoria seduto sugli scalini del salotto. Non ricordo di regali aperti la mattina del 25, perché per me il Natale è il rito familiare della sera della vigilia, tramandato quasi intatto fino allo scorso anno. 
Dopo la cena che noi bambini consumavamo in fretta e furia lamentandoci della calma snervante con cui mangiava mio padre (che probabilmente lo faceva apposta), mia madre lavava i piatti, mentre noi forse davamo una mano a spreparare al solo scopo di anticipare il più possibile l'apertura dei regali. Dopodiché si saliva tutti in macchina a fare il giro degli auguri ai nonni, prima quelli paterni, poi quelli materni. Durante gli anni del liceo, le visite si sono dimezzate  riducendosi solo ai nonni materni, e più passavano gli anni, più i miei fratelli e io stavamo stretti sul sedile posteriore dell'auto. Infine si tornava a casa, dove mio padre spezzava degli stuzzicadenti e decretava l'ordine dei turni dell'apertura dei regali in base alla lunghezza dello stecco pescato. Senonché, puntualmente sul più bello, proprio durante il tanto agognato spacchettamento, suonava il citofono o il campanello a interrompere il tutto, e noi bambini friggevamo. Un paio di volte dev'essere stato Ettore, il vicino di casa, venuto a farci gli auguri. Da allora, ogni volta che la sera della vigilia suonava il campanello, tutti esclamavano alzando gli occhi al cielo: "Ettore!".

lunedì 20 dicembre 2010

il tempo delle medie: stephen king, elton john e quelle merendine della mr. day

Se c'è un'età che causa imbarazzi a posteriori, è quella che corrisponde grosso modo al passaggio dall'infanzia all'adolescenza, ovvero l'età delle scuole medie. In quel periodo della vita si è ancora piccoli ma si smania dalla voglia di apparire grandi, e lo scarto tra le intenzioni e i risultati provoca inevitabilmente un senso di ridicolo. Questo per dire che per me l'espressione "bimbo delle medie" ha sempre avuto un'accezione abbastanza negativa.
Si tratta tuttavia di un'età molto importante in quanto è quella in cui inizia a delinearsi con maggiore precisione la personalità di un individuo e si gettano le basi di ciò che verrà sviluppato con vigore negli anni dell'adolescenza. In particolare, io trovo che sia l'età in cui i gusti di una persona, per quanto acerbi, cominciano a manifestarsi in maniera indipendente, così come le sue passioni e i suoi interessi. Almeno nel mio caso credo che sia andata così.
 A quei tempi, ovvero a cavallo tra Ottanta e Novanta, iniziai a coltivare in maniera relativamente autonoma (ovvero non per riflesso dei miei fratelli maggiori) passioni come quelle della musica e della lettura. Nel corso degli anni ho poi smesso di ascoltare o leggere le cose che mi piacevano allora, ma  non posso negare che esse abbiano rappresentato un passo importante nella mia crescita, costituendo una linea di demarcazione rispetto a quando mi limitavo a pescare indiscriminatamente tra le musicassette di mio fratello o di mia sorella.

In particolare, ho degli intensi ricordi dei pomeriggi o delle serate passate sul letto a leggere romanzi di Stephen King, mentre di sottofondo suonavano musicassette di Elton John. A dire il vero, c'è un terzo elemento a condire questi ricordi: il cibo, perché sin dall'infanzia ho sempre avuto l'abitudine di mangiare qualcosa mentre leggevo. Non so perché, ma senza cibo mi sembrava che mancasse qualcosa.
La lettura di Stephen King iniziò, credo, in prima o seconda media quando presi in mano, su consiglio del mio amico Vaga (o di suo fratello), Gli occhi del drago. In quel periodo ero appassionato di fantasy, e forse avevo già anche letto qualche romanzo di Terry Brooks di mio fratello, ma quello di King mi colpì più profondamente a causa della per me insolita crudeltà che lo caratterizzava. Fece seguito IT, e fu per me una rivelazione il brivido che provai leggendo le prime pagine, quando lo scrittore descrive il bianco dell'omero che sbuca fuori dal moncherino del braccio di un bambino dopo che questi è stato azzannato dallo spaventoso pagliaccio, affacciatosi sulla strada da un tombino: ricordo che mi stupii del fatto che si potesse provare paura  semplicemente leggendo. Prima di allora pensavo infatti che la paura fosse un fatto puramente visivo.
Poi ne vennero tanti altri, ma quelli che mi sono rimasti più impressi sono L'ombra dello scorpione e i racconti brevi di Stagioni diverse e Quattro dopo mezzanotte. Proprio a quest'ultima raccolta si collega il ricordo più nitido e intenso che raggruppa i tre elementi di lettura, musica e cibo: è un'immagine di me disteso sul letto di mia sorella a leggere il racconto I langolieri mentre un piccolo mangiacassette nero suona un Best of (o forse era l'album Sleeping With the Past) di Elton John, e io divoro delle buonissime merendine di sfoglia ripiena di crema al limone. Le produceva un tempo la Mr. Day e ora non so bene perché non le faccia più (qui ci sarebbe materia per un altro post).
Ci sono altri ricordi legati a quel periodo di ascolti e libri presi in prestito dalla biblioteca di Canale (un salame al finocchio mangiato avidamente sulle pagine de L'incendiaria; i racconti di Scheletri  letti uno dopo l'altro in una giornata estiva di permanenza forzata a letto; L'occhio del male consumato sul terrazzo in un pomeriggio d'estate mentre in cortile c'erano i miei nonni paterni), ma quella particolare immagine così vivida e ricca di calore è per me è emblematica di un intero periodo e dei suoi frutti migliori.

Per quanto riguarda la mia passione per Elton John, non ricordo come fosse nata, forse da una cassetta di mio fratello, forse da un vinile di Vaga, ma divenne presto un'infatuazione autonoma. Allora ascoltavo già cose  di gran lunga migliori che continuo ad amare ancora oggi (in primis Highway 61 Revisited di Bob Dylan, che prese mio fratello in edicola con la collana "Il grande Rock" ed è tuttora uno dei miei album preferiti di sempre), ma Elton John ebbe il merito di essere il mio primo idolo musicale, e la sua musica di essere una passione che sentivo soltanto mia. A quel tempo, cercavo avidamente notizie sul suo conto, provavo a imparare le sue canzoni pur non sapendo l'inglese, attendevo con ansia che MTV passasse qualche suo video. Di Elton John furono anche i miei primi CD. Il mio primo compact disc in assoluto fu infatti Captain Fantastic and the Brown Dirty Cowboy, che chiesi per Natale. Anni dopo lo vendetti a un amico e in fondo un po' mi dispiace. In breve tempo la mia indole monomaniacale si sarebbe focalizzata su altre cose la cui scoperta portò a una ridefinizione dei miei gusti, così che oggi non mi passerebbe mai per l'anticamera del cervello di mettere su un CD di Elton John, se non per un attacco di nostalgia irrefrenabile o di curiosità volta a scoprire cosa ci trovava quel ragazzino, quell'embrione di me, in quel pop spesso (ma non sempre, per carità) superficiale e melenso. Ringrazio tuttavia Sir Reginald  Kenneth Dwight per aver svolto un ruolo importante nella mia crescita musicale e per aver  accompagnato, attraverso le cuffie di un walkman o l'autoradio di mio padre quando lui acconsentiva a mettere su qualcosa di mio, un bel viaggio in Francia insieme ai miei genitori nei primissimi anni Novanta: ricordo Crocodile Rock e Your Song stampati sui monti dell'Alvernia, sebbene i miei brani preferiti, nonché quelli che considero oggi tra i più validi e tuttora degni d'ascolto, fossero Sixty Years On e Madman Across the Water.