domenica 28 agosto 2011

luciano

La scorsa notte Luciano se ne è andato. Luciano era il marito di mia madrina Marinella, cugina di mia madre. Era di Terni, lavorava per le Ferrovie dello Stato. Era un uomo alto, brillante, simpatico.  Aveva un'aria buona. Il suo accento umbro spiccava nei ritrovi di famiglia.
Il suo calvario iniziò all'incirca tre anni fa, all'epoca in cui suo suocero, mio prozio Dorino (Binello Teodoro, fratello di mio nonno Berto), moriva a sua volta di cancro e si ricongiungeva alla moglie Elia. Marinella e Luciano scoprirono, credo, nello stesso periodo, di avere entrambi un tumore, e iniziarono  insieme la loro personale battaglia con una forza, un coraggio e una quantità di risorse tali che mi hanno sempre lasciato stupefatto e ammirato. E non lo dico con spirito retorico: ce l'hanno davvero messa tutta.
Poi mia madrina l'ha preceduto nell'aprile dell'anno scorso, ma Luciano non ha smesso di lottare. Ha provato diverse cure, diverse cliniche, è persino andato nel fitto della giungla cubana a procurarsi, inutilmente, il veleno dello scorpione rosso. L'ultima volta che l'ho visto è stata questa primavera, quando è venuto su a Canale per la messa di anniversario della morte di Marinella. Abbiamo pranzato insieme da mia madre, e io ho pensato che forse era la prima volta che passavo così tanto tempo con lui, che parlavamo così a lungo.  In fondo, in passato l'avevo visto quasi sempre di sfuggita quando veniva su con Marinella a cenare con i miei per capodanno o festività simili. Al di là dei sintomi della malattia e delle cure, quella volta mi era sembrato relativamente in forma, per cui ho anche pensato che ci sarebbero state altre occasioni.
Invece no, e ora che se ne è andato anche Luciano, penso con tristezza al fatto che tutto un ramo della mia famiglia, quel ramo dei Binello che partiva da mio prozio Dorino, è stato reciso per sempre e non ne rimane traccia vivente. Trasferitosi anch'egli a Terni dopo esser rimasto vedovo,  Dorino mi chiese più volte di andarli a trovarle, e io mi ripromisi più volte di farlo. Ma poi, tra una cosa e l'altra, ho sempre rimandato. Ora le occasioni sono sfumate e restano anche ben pochi ricordi. Non mi rimane che andare a dare un goccio d'acqua ai fiori ogni tanto, come Luciano mi aveva scherzosamente chiesto questa primavera.

domenica 21 agosto 2011

patrimonio

Ieri sera ho finito Patrimonio di Philip Roth, di cui, ammetto, finora avevo solo letto Lamento di Portnoy e Pastorale americana. Mi era già venuta voglia di leggerlo tempo fa,  dopo aver visto questo post scritto da un mio amico, ma ho deciso di affrontarlo solo ora per creare la giusta distanza rispetto alla morte di mio padre. Il libro parla infatti del rapporto tra l'autore e il padre malato di cancro, e degli ultimi mesi di vita di quest'ultimo. Al di là dell'effettivo valore del libro, indubbiamente un capolavoro, vi ho ritrovato molte delle sensazioni che provai nel corso della terribile progressione della malattia. Molte di quelle riflessioni, di quelle lacrime, di quei pugni nello stomaco, di quel senso di impotenza di fronte a un male così spietato.
Un passaggio in particolare descrive perfettamente uno dei vari stati d'animo che si alternavano in me in quei giorni. Uno stato d'animo che, in fin dei conti, nei mesi successivi mi ha spinto a creare questo blog. Quindi, smentendomi in parte rispetto al mio ultimo post, lascio che siano le parole di Roth a rievocare quei momenti nei quali restavo seduto in silenzio sul suo letto a fissargli le mani:

"Lo osservai intensamente, come per la prima volta, e continuai ad aspettare che nella testa mi si formassero altri pensieri. Ma non ne arrivarono più, nessun altro pensiero tranne questo: che dovevo fissarmelo nella memoria per quando fosse morto. Forse gli avrebbe impedito di sbiadire e diventare etereo col passare degli anni. «Devo ricordare con precisione, - mi dissi, - ricordare ogni cosa con precisione, in modo che quando se ne sarà andato io possa ricreare il padre che ha creato me». Non devi dimenticare nulla."





venerdì 5 agosto 2011

arma a doppio taglio

Esattamente un anno fa, a quest'ora, mio padre ci lasciava, abbandondoci alla sua assenza. Mentre si avvicinava la data di questo triste anniversario, mi sono chiesto più volte cosa avrei potuto, cosa avrei dovuto scrivere su questo blog incentrato sulla memoria. Avrei  dovuto rievocare quel giorno? Avrei dovuto fare un resoconto di quest'anno e del vertiginoso senso di vuoto che l'ha caratterizzato? O sarebbe stato meglio trascrivere i ricordi più belli e importanti che ho di mio padre, o ancora uno solo, il più emblematico? Ma la figura di mio padre e la sua assenza non permeano già forse ogni angolo di questo blog? Basta buttare l'occhio sulla colonna delle etichette qui a destra, per rendersene conto.
Fatto sta che non mi va di parlarne in quest'occasione. Per una volta, preferisco mantenere nell'intimo della mia memoria privata i ricordi più belli e quelli più dolorosi.
C'è però una piccola considerazione di carattere generale e attinente al tema che anima questo blog, che mi sento di fare: nel corso di quest'anno mi sono reso conto di quanto i ricordi possano essere anche un'arma a doppio taglio. Si sa che rievocare alla memoria degli eventi, anche dolorosi, può dare comunque un senso di piacere. A volte è stato così, ma non sempre.  Ci sono stati giorni nei quali mi sono sentito letteralmente aggredito dai ricordi, che si accavallavano mio malgrado nella mia mente, violenti e caotici, ribadendo tutti ad alta voce un'unica amarissima verità, di una semplicità disarmante: che non ce ne sarebbero stati altri.