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mercoledì 22 febbraio 2012

partenze e ritorni (seconda parte)

La casa che ci ospita ora, dicevo l'ultima volta, è la casa in cui sono nato e ho vissuto per circa ventisei anni della mia vita, un arco di tempo decisamente maggiore di quello trascorso nell'alloggio di piazza Marconi dopo il matrimonio. Sarebbe quindi impossibile elencare tutti i ricordi che essa mi riporta alla mente, perché se nel caso dell'appartamento dei miei nonni essi erano stati setacciati dal tempo e delimitati dalla loro collocazione in un passato relativamente remoto e conclusosi per sempre, qui essi si inseriscono, in quantità spropositata, in un flusso praticamente continuo che scaturisce dai miei primi vagiti e scorre per tutta la mia infanzia, la mia adolescenza, la mia giovinezza, senza arrestarsi nemmeno negli anni della mia assenza (non solo perché facevo spesso visita ai miei genitori, ma anche perché già da qualche anno lavoravo qui in mansarda, durante il giorno).
In questo caso, almeno per il momento, il processo del ricordo non rappresenta uno sforzo cosciente e volontario, bensì un germogliare spontaneo, fisiologico, organico. Talvolta piacevole, talvolta doloroso (e la parte dolente riguarda soprattutto le stanze nelle quali il ricordo si fa più crudo e manifesto: quelle che più sono rimaste simili, nell'arredamento, a com'erano fino a un paio d'anni fa). Onestamente, prima di tornare qui, temevo che sarebbe stata troppo dura convivere coi brutti ricordi, ma ora che sono trascorsi più di due mesi dal nostro insediamento, devo dire che è superiore la gioia di vedere queste mura riempirsi nuovamente di vita e nuovi ricordi. La mancanza resta, ma il triste e vertiginoso senso di vuoto che mi è capitato di provare le volte che, lo scorso anno, mi sono ritrovato solo in tutta la casa, viene ora riempito dalla presenza di Pietro e Gemma.
Quanto ai piacevoli ricordi di un passato assai più remoto, essi fioccano di continuo mentre poco per volta sistemo oggetti nel solaio, nella mansarda, in cantina. In questi ultimi mesi ne ho rinvenuti di piccoli e grandi, talvolta mai visti (un quaderno contenente la contabilità dei miei nonni paterni, la cartella di mia madre con i suoi quaderni di bambina...), talvolta dimenticati o creduti perduti. Ho addirittura esplorato anfratti nei quali forse non mi ero mai addentrato fino in fondo in oltre trent'anni di frequentazione di questi ambienti, come il lungo ripostiglio della mansarda il cui ingresso è rimasto ostruito da varie cianfrusaglie sin dai primi anni Ottanta. Ecco, forse è proprio questo il punto: sto imparando a vivere consciamente questo spazio, con curiosità. A prenderne consapevolezza quando finora l'avevo sempre vissuto in maniera passiva.

giovedì 10 novembre 2011

ricordi futuri

Ci sono dei ricordi che vengono spazzati via dalla rapidità con cui si susseguono esperienze particolarmente significative. Io e Silvia ce ne siamo già accorti con Pietro: i primissimi anni di vita di un bambino sono come un fiume in piena di novità e momenti intensamente memorabili che si sovrappongono con velocità implacabile di pari passo con la sua vertiginosa evoluzione. Così, prima che tu te ne accorga, il bambino di prima è già stato sostituito prepotentemente dal bambino che hai davanti tutti i giorni, e quello di allora ti appare come un pallido ricordo. Ti sembra impossibile che sia stato così, perché lui è innegabilmente quello che hai davanti, così diverso, completo, formato. Nei primissimi anni di vita di Pietro, quando la mia attività di blogger scorreva con diverso metabolismo, avevo approfittato del mio vecchio blog per fare il punto della situazione ogni tanto, per cui ora ho la fortuna di poter andare a rinfrescarmi la memoria su com'era Pietro a tot mesi o anni, visto che molte cose le ho dimenticate.
Poiché questo blog ha un'impostazione più rigidamente definita e altri tempi di pubblicazione, finora non ho fatto lo stesso per Gemma. Poi però ho pensato che i ricordi non esistono solo al passato, ma che possono anche essere fissati in divenire, in determinati casi come quello di cui sopra, affinché restino appunto ricordi e non cadano invece nell'oblio.
Vorrei quindi riportare, a mo' di appunti, alcune cose su Gemma che non vorrei scordare. Probabilmente ne verranno altre in seguito.

Gemma, diversamente da Pietro, ha mostrato una curiosità per il cibo sin da piccolissima. Non aveva ancora l'età per le pappette, che già, credo poco prima dei cinque mesi, pretendeva di assaggiare quel che avevamo nel piatto. La prima pappa fu una gioia divorata senza prender fiato. Anche i gusti sono diversi da quelli di Pietro: formaggio, pomodoro, prosciutto... è attirata praticamente da tutto, e preferirebbe essere indipendente nel mangiare.

Il giorno della festa del papà, all'età di sette mesi circa, ha detto "papà!". Però è stato più un caso che altro.

Ci ha messo più di Pietro a iniziare a gattonare. Ha mosso i primi passi da poco, ovvero intorno al primo anno d'età. In compenso, ha una gran voglia di camminare in piedi, e vuole sempre essere presa per mano per girare per la casa. A un anno e due mesi circa è stata per la prima volta ferma in piedi senza tenersi a nulla per qualche secondo.

Ha un carattere meravigliosamente solare. Saluta sempre tutti con la manina e un sorriso quando arrivano e se ne vanno, gridando "TA!" che nella sua lingua significa "Ciao!".

A un anno e due mesi, le altre parole che pronuncia sono "Sciusciu" (ciuccio), "Papa/Mama/Baba" (un'entità indefinita che comprende me, Silvia e Pietro), "pa!" (pappa), "nonna", "da" (dammelo), "na-na-na" (no, grazie) e infine "schöa" (un'entità indefinita che comprende tutto ciò che desidera, pronunciata con un accento che mi sa un po' di cinese).

Da diversi mesi ha imparato il verso del leone, il suo primo animale preferito. In realtà, il suo ruggito somiglia più al verso di una foca o al ragliare di un asino, ed è applicabile a quasi tutti gli animali (galline, maiali, eccetera), con l'eccezione del cane e di altri simili che secondo lei fanno "ba!". Negli ultimi giorni, hanno fatto la coro comparsa anche il muggito della mucca e il belato della pecora.

Se apprezza il cibo, inizia ad annuire con la testa guardandoti negli occhi per un quarto d'ora.

Quando sente il rumore della porta d'ingresso al piano di sotto, a ora di pranzo e cena, inizia a chiamarmi pavlovianamente. Amore di papà.

Già da mesi, ovvero prima dell'anno di età, mostra una passione tutta femminile per scarpe, braccialetti, collane e borsette, che prova costantemente a indossare, talvolta con successo.

Da qualche tempo a questa parte inizia a ballare contenta quando sente le canzoni dello Zecchino d'Oro, accompagnandole con gesti delle braccia da cantante di hip-hop (argh).

In generale, non avendo il problema della dermatite come Pietro, ha sempre dormito con maggiore continuità di lui, e si addormenta anche con minore difficoltà la sera.

Se la mettiamo nel lettone si mette di traverso per la gioia della mia schiena. Qualche volta mi ha afferrato il naso di notte.

Se le canti "nanna cuchetta", inizia a ciondolare piegando la testa di lato.

Fa le pernacchie e se la ride.

venerdì 5 agosto 2011

arma a doppio taglio

Esattamente un anno fa, a quest'ora, mio padre ci lasciava, abbandondoci alla sua assenza. Mentre si avvicinava la data di questo triste anniversario, mi sono chiesto più volte cosa avrei potuto, cosa avrei dovuto scrivere su questo blog incentrato sulla memoria. Avrei  dovuto rievocare quel giorno? Avrei dovuto fare un resoconto di quest'anno e del vertiginoso senso di vuoto che l'ha caratterizzato? O sarebbe stato meglio trascrivere i ricordi più belli e importanti che ho di mio padre, o ancora uno solo, il più emblematico? Ma la figura di mio padre e la sua assenza non permeano già forse ogni angolo di questo blog? Basta buttare l'occhio sulla colonna delle etichette qui a destra, per rendersene conto.
Fatto sta che non mi va di parlarne in quest'occasione. Per una volta, preferisco mantenere nell'intimo della mia memoria privata i ricordi più belli e quelli più dolorosi.
C'è però una piccola considerazione di carattere generale e attinente al tema che anima questo blog, che mi sento di fare: nel corso di quest'anno mi sono reso conto di quanto i ricordi possano essere anche un'arma a doppio taglio. Si sa che rievocare alla memoria degli eventi, anche dolorosi, può dare comunque un senso di piacere. A volte è stato così, ma non sempre.  Ci sono stati giorni nei quali mi sono sentito letteralmente aggredito dai ricordi, che si accavallavano mio malgrado nella mia mente, violenti e caotici, ribadendo tutti ad alta voce un'unica amarissima verità, di una semplicità disarmante: che non ce ne sarebbero stati altri.

giovedì 16 giugno 2011

la mamma del ragno

Ieri, nel mucchio del compost da sempre situato in un angolo dell'orto che affianca la casa dei miei genitori, ho trovato una nidiata di topolini di campagna. Erano minuscoli e rosa e squittivano impercettibilmente. Subito mi è balenata l'idea che forse non sarebbe stato tanto saggio tenerli in vita, onde non trovarsi poi la casa invasa dalle prolifiche bestiole... ma ovviamente non ce l'ho fatta: li ho mostrati a Pietro e poi li ho amorevolmente ricoperti.
Qualche settimana fa, in un vaso sul balcone di casa mia, una colomba ha fatto due uova. La tenerezza e l'entusiasmo iniziali (mi piaceva l'idea di mostrarne le evoluzioni a Pietro) si sono presto smorzati quando ci siamo trovati il balcone sommerso (per usare un eufemismo) dalle loro cacche. Nonostante il disagio di dover rinunciare a un balcone e la paura di eventuali malattie di cui i piccioni sono portatori, non ce l'ho fatta a far fuori quei due pulcini sgraziati... quindi abbiamo aspettato un mese affinché prendessero il volo, prima di smantellare tutto quanto.
Se trovo un ragno o un insetto sgradito in casa, invece di ucciderlo cerco sempre di accompagnarlo fuori dalla finestra, nei limiti del possibile. Se lo uccido, provo comunque un piccolo (come una punta d'insetto, per l'appunto) senso di colpa, leggero ed effimero ma immancabile.
Tutto questo per dire che il pensiero di uccidere degli animali, anche i meno simpatici, anche quando lo richiederebbe il buon senso, è per me qualcosa di doloroso e mi costa un certo sforzo, a meno che la paura (vedi vespe e calabroni - di cui ho il terrore) o il fastidio non superino di gran lunga la pietà. Mi sono chiesto da dove abbiano origine queste mie remore. Certo, da bambino (e un po' ancora adesso) ero un grande appassionato di animali, ho letto e riletto centinaia di volte libri sull'argomento, ero addirittura iscritto al WWF, ho come tutti subìto gli effetti dell'edulcorata antropomorfizzazione disneyana, eccetera eccetera. Mi piace tuttavia pensare che tale senso di colpa tutto abbia avuto origine da un unico episodio.
Ricordo infatti che da piccolo, credo tra i tre e i cinque anni, mi piaceva uccidere i ragni. Ho una vaga memoria della sensazione e del rumore secco e rimbombante prodotto nello schiacciarne uno con la scarpina sul pavimento arancione del bagno del piano di sotto. Mi trovavo insieme a mia nonna Gemma: lei li tirava giù dal soffitto con la scopa, mentre io avevo il compito di rincorrerli e freddarli. Era divertente, ma poi questo mio piacere fu frenato, credo non molto tempo dopo, da un piccolo evento apparentemente insignificante (ma il fatto stesso che me ne ricordi a distanza di trent'anni non ne indica forse l'importanza?). Ebbene, mi trovavo vicino al termosifone del bagno del piano di sopra, tra il blu scuro delle piastrelle e il bianco delle tende. Lì vidi un ragno e feci per ammazzarlo, quando mia madre mi disse: "Se lo uccidi, poi cosa penserà la sua mamma, non vedendolo più tornare?". Questa considerazione mi diede molto da riflettere. Il pensiero della mamma ragno che se ne stava nella sua tela ad attendere invano il ritorno del figlio instillò in me una sorta di malessere, lieve ma ben radicato.  Quasi un riflesso pavloviano, l'effetto di una cura Ludovico. Persino negli anni del tipico sadismo infantile credo di non aver mai fatto del male a qualche animale (per lo meno volutamente - e qui ci sarebbe materia per un altro post).
Fanno eccezione le solite povere mosche, le zanzare e qualche bruco.