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mercoledì 4 gennaio 2012

partenze e ritorni (prima parte)

Il 2011 è stato un anno lungo e pieno di cose, e ha segnato per la nostra famigliola una partenza che per me rappresenta, allo stesso tempo, un ritorno. Qualche settimana fa, infatti, abbiamo traslocato, e ora iniziamo il 2012 in un luogo che, per quanto ugualmente familiare, non è l’appartamento che ci eravamo abituati a considerare casa nostra e che Pietro chiamava “casacanale”. Io e Silvia abbiamo vissuto in quell’appartamento per sette anni e mezzo (pressoché esatti, se si esclude la breve e lieta parentesi torinese), ovvero a partire dal giorno successivo al nostro matrimonio. L’abbiamo fatto “nostro” giorno dopo giorno, evento dopo evento, ricordo dopo ricordo. In esso abbiamo vissuto importanti metamorfosi: il passaggio, dopo circa sei anni di fidanzamento, alla quotidianità di una relazione di coppia sotto lo stesso tetto; quello a una realtà lavorativa abbastanza stabile nel mio caso (quando ci siamo insediati io avevo appena iniziato il mio attuale lavoro) e viceversa variegata e instabile, ma non priva di momenti gratificanti e memorabili, nel caso di Silvia; infine, dopo qualche anno, il passaggio allo status di genitori, che di tutte le metamorfosi è stata quella più radicale e significativa.
Quell’appartamento è stato dunque teatro di momenti più che importanti, in un certo senso quasi ingombranti al punto tale da divorare spazio ai ricordi che già giacevano, prima del nostro arrivo, nella polvere annidata tra quelle mura, alla penombra di quelle tapparelle. Sì, perché quelle stanze avevano già ospitato molti altri ricordi appartenenti alla mia infanzia e alla mia adolescenza, essendo state abitate dai miei nonni paterni a partire, credo, dalla metà degli anni Settanta. Eppure, quando un paio di settimane fa ho lasciato quel luogo, mi riusciva difficile vederlo come lo scenario delle serate trascorse dai miei nonni, quando mi addormentavo, mentre mia nonna Rina recitava il rosario, in una brandina accanto a un letto matrimoniale scuro, convesso e insormontabile; dell’odore umido e allo stesso tempo ospitale di quella cucina, con mio nonno Tavio seduto, dopo cena, su una poltrona di pelle a guardare la televisione masticando un blocco di cioccolato fondente preso da una vetrinetta del salotto e tagliato con il coltello del parmigiano; del suono delle unghie del bassotto nero Dick che correva agitato sulle piastrelle; della foto di mia bisnonna appoggiata su un comò di quella che poi è diventata la stanza di Pietro – in quella stessa stanza c’era un divano-letto contro le cui sbarre mi ero sbucciato un piede procurandomi una piccola cicatrice che porto ancora oggi, e in quello stesso letto andavo a dormire ogni tanto, durante gli anni del liceo, per assistere (si fa per dire) mio nonno pochi mesi prima della sua morte, mentre mia nonna era in ospedale per via dell’ictus; della sedia in cucina accanto al frigorifero su cui, anni prima, mio nonno, seduto, mi afferrava stringendomi a sé e dicendomi: “Ti spremo come un limone!”; dello scrittoio con il calamaio e la penna d’oca in salotto, e della sedia a dondolo che si affacciava sul balcone, sotto un quadro dipinto da mia nonna e nei pressi del grande e imponente ritratto di mio bisnonno Bartolomeo in uniforme; dei bicchieri di latta, delle tende ricamate, dell’armadio color turchese decorato da mia nonna nel corridoio d’ingresso, del suono stonato e vibrante dell’orologio a pendolo, delle “gallette digestive” e del fruscio della plastica marrone che le conteneva, delle fiabe popolari di mia nonna e del loro sapore macabro, della costruzione che ospitava il “peso” nella piazza sottostante. Ebbene, tutti questi ricordi, che ora rievoco con un piccolo sforzo volontario della mia memoria, si erano come ritirati nell’ombra mentre camminavo in questi anni per quelle stesse stanze. Essi hanno lasciato spazio alla spensieratezza dei primi anni di matrimonio, a giorni nei quali risuonavano un sacco le canzoni dei Beatles e di Rino Gaetano; alle emozioni, mai provate fino ad allora, dei giorni della prima gravidanza di Silvia, e successivamente a una valanga di ricordi, altrettanto nuovi, di Pietro piccolino, del suo sviluppo e della nostra vita a tre; a innumerevoli manicaretti, serate con gli amici, giornate trascorse a lavorare bevendo tè, a CD sperimentati per la prima volta tra quelle mura; a notti insonni e lacrime versate su quel divano verde muschio e sul tavolo di pietra rosa della cucina, nascondendomi dietro una confezione di cereali per non farmi vedere da mio figlio; e infine ai primi segnali notturni di una nuova nascita, a una carezza a Pietro che dorme accanto alla parete verde scuro della sua stanza, al frastuono del ferro tremolante del portone del garage nella notte silenziosa, per poi riunirci sotto quel tetto, questa volta in quattro con l’arrivo di Gemma, qualche giorno dopo. A questo e tanto, tantissimo altro ancora, mi viene ora da collegare automaticamente l’appartamento di Piazza Marconi, e mi chiedo se, tra sette anni e mezzo, lo stesso meccanismo di sostituzione si attiverà nella casa che ci ospita ora e di cui avrò modo di parlare nel prossimo post.

giovedì 10 marzo 2011

caro marito

Siccome in questo periodo ho la mente occupata da un lungo lavoro che mi prosciuga la voglia e l'ispirazione, ho deciso di riempire lo spazio vuoto che precede il prossimo post riciclandone uno dal mio vecchio blog. Tanto, poco alla volta, intendevo comunque trasferire in questo spazio tutti i post scritti in passato che fossero attinenti ai temi affrontati su Memoria Esterna, quindi tanto vale che lo faccia nel momento del bisogno.
Lo spunto per la pubblicazione di questo post viene inoltre dal ritrovamento di una scatola in cui mio padre aveva raccolto la corrispondenza che mio bisnonno Bartolomeo aveva tenuto dal fronte, durante la prima guerra mondiale, con la moglie Caterina, il fratello Giovanni e i genitori Ottavio e Maddalena.
Mio bisnonno morì in battaglia nel 1916 sul fronte austriaco, lasciando la moglie sola con il figlio di appena due anni, mio nonno Ottavio (Taviu). La coppia è protagonista della foto qui sotto, scattata nel 1911 in occasione del loro matrimonio. Solo mentre digitavo la data, in questo stesso momento, mi sono reso conto che sono passati esattamente cento anni da allora.

Bartolomeo Calorio II e Caterina Sperone il giorno del loro matrimonio, 1911.

Ed ecco la trascrizione della prima lettera, tenera e commovente, che vi propongo. Fu scritta da Caterina poco dopo la partenza del marito.


Canale, 8-3-1916
Caro marito,
dopo sei giorni dalla tua partenza ieri o ricevuto la tua bella lettera che da me era tanto desiderata, credi mi sono molto rallegrata nel riceverla credi gioivo e avevo il cuore che mi batteva e le lacrime agli occhi non potevo più nemmeno dissigillarla, la forza del batticuore che io avevo, ma poi mi sono tranquillizzata un poco, me, e anche i nostri genitori nel sentire che al momento stai bene di salute e che al momento sei ancora fuori dal pericolo.
Caro marito sto a dirti che quella lettera lo gia letta piu di 20 volte tutti i momenti la guardo la leggo e la rileggo la faccio baciare dal nostro caro figlio, e vedendo che e fatto da te mi rallegro un poco il mio cuore, e mi consolo un poco, persino la mamma dice non lai ancora letta abbastanza? ma io non guardo nessuno, io leggendola mi sollevo un poco da quelle pene e mi pare di vederti vicino che mi parli insieme, e sembra che sia arrivata soltanto in quei momenti.
Caro Bartolomeo ti prego quando mi scrivi di non darmi piu del voi perche anche da lontano mi pare di essere sempre tua moglie come prima, e oso a dirti ancora di piu affezionata di prima, intanto scusami se ti dico questo, non e per offenderti ma solamente per unaltra volta che tu faccia piu attenzione quando mi scrivi poi mi sono messa persino a ridere e dicevo per ora comincia a darmi del voi, ma lo so che tu essendo tanto buono con la tua cara moglie non lai fatto con nessuno motivo, e credo che anche tu lo abbi fatto per una facezia per consolarmi un poco, dunque perdonami se ti dico questo e ti prego di non offenderti perche io o detto questo per farti ridere un poco perche mi ai dato del voi.
Intanto ti dico che siamo tutti in salute come speriamo di te anche il nostro Giovanni a scritto che sta bene e non sa ancora niente riguardo alla sua partenza. Caro marito non posso esprimerti il dolore che o provato nella tua partenza dalla stazione di Alba credimi che la strada per ritornare a casa non lo piu vista, e credo che anche tu avrai fatto un viaggio molto addolorato. Dunque fatti coraggio, guarda di sostenerti per bene per non venire ammalato e se hai bisogno dei soldi o qualche altra cosa mandalo a dire che te ne mandiamo, guarda di non stare con pochi soldi in tasca perche delle volte e pericolo mandarti lontano e se non ai dei soldi non puoi sostenerti come ai bisogno. Ti prego di ascoltare i tuoi superiori affinche non ti castigano e prederti guarda riguardo al portafoglio, di non perderlo e che non te lo prendono mettilo sempre nella tasca secreta che ti o fatto. Intanto mandami a dire se la cravatta ti piace perche desidero saperlo. Caro marito mi raccomando te di pregare e di renderti di cuore a qualche Santo o qualche Madonna ove desideri te, alla tua idea, perche ti faccia la grazia di ritornare a casa sano e salvo, e quello che li prometti quando sarai a casa di farlo, ti prego di farlo con devozione. Ti dico questo perche a renderti te, vale piu che a renderti noi da casa. Mi raccomando se ti mandano giu di non fare tanto il curioso e di assicurarti alla tua vita. Ti dico che mentre ti scrivo abbiamo ricevuto la cartolina del mio caro fratello Antonio e siamo stati contenti. Ti prego di scrivermi appena ricevuto la lettera e di scrivermi sovente sovente perche io preferisco una tua notizia che tutte le cose di questo mondo.
Addio ricevi tanti saluti dal figlio di Sansun che si trova anche lui vicino a Cividale e presto a detto che ti scrive, e poi ricevi tanti saluti da tutta la nostra famiglia e la famiglia sperone e barba Garun e la zia Carolina e barba Minot e la zia che anno anche loro ricevuto la tua cartolina e ora sono rimasti amici il nostro padre con lo zio Domenico, vengono sempre a casa nostra a veliare. Ricevi ancora tanti saluti dalla nostra famiglia e ricevi tanti saluti e baci da chi sempre ti ricorda tua Aff.ma moglie e un bacio dal tuo e nostro figlio Ottavio che anche lui prega per te.
Catterina

A margine ci sono due note:

Quando scrivete mandate sempre notizie uno dell'altro, ricevi baci dalla tua moglie e figlio, addio

L'indirizzo del nostro Giovanni
Calorio Giovanni
3a Artiglieria di Montagna 51a Batteria forte S. Giuliano Genova