Esistono ricordi che non sono incisi direttamente nella nostra esperienza personale, ma entrano a farvi parte attraverso i racconti, i dati, i documenti, le immagini che abbiamo ereditato e assorbito da coloro che sono venuti prima di noi. Io ho sempre avuto un rapporto ai limiti dell'idiosincrasia con la Storia in senso generale (ho enormi difficoltà a comporre gli eventi del passato in una visione d'insieme cronologicamente strutturata, e le date scivolano via dalla mia memoria come un insieme di cifre prive di senso), ma in compenso nutro un grande interesse e attaccamento per la Storia "privata" della mia famiglia e del contesto geografico e culturale in cui sono nato. Ho la fortuna di disporre di un ricco bagaglio di fotografie dei miei antenati e, soprattutto, di un ricco e dettagliato albero genealogico lasciatomi da mio padre, indispensabile a conferire a tali fotografie un senso e una collocazione. Proprio di recente ho rinvenuto una scatola di fotografie mai viste prima appartenute a mia nonna, e sollevarne il coperchio è stato per me più emozionante che aprire lo scrigno del più ricco dei tesori. Il legame di sangue che percepisco intercorrere tra me e i protagonisti di tali fotografie, scattate per lo più in epoche delle quali non ho memoria perché non ne facevo parte, mi fornisce uno spunto per donare a questo blog nuove e stimolanti sfaccettature.
Per un motivo o per l'altro, tutte le fotografie che ho visionato consultando e perfezionando l'opera di mio padre nei ritagli di tempo sono degne di interesse. Alcune testimoniano usanze ora decadute, altre angoli del mio paese che non ci sono più, altre ancora suggeriscono l'origine di tratti somatici emersi successivamente nel patrimonio genetico mio, dei miei genitori, dei miei fratelli. Alcune semplicemente mostrano lati a noi ignoti di persone che abbiamo conosciuto in vita. Ciascuna foto, forse anche in virtù del loro numero relativamente esiguo, è di per sé interessante, ma ve ne sono alcune che mi hanno colpito più di altre, perché cariche di significati più intensi, talvolta drammatici. Una di queste è l'istantanea che vedete qui sotto.
L'avevo già vista distrattamente altre volte in passato, e le uniche due cose che avevo notato sono il fatto che fosse stata scattata in piazza Vittorio Veneto a Torino, in corrispondenza del ponte della Gran Madre, e il fatto che una delle tre donne che vi compaiono fosse mia nonna Rina da giovane. Ho dunque sempre pensato che fosse stata scattata nel corso di una lieta gita nel capoluogo della regione.
Ieri mi è tuttavia capitato di leggere la didascalia che mio padre aveva scritto su un file a parte, quando ha passato allo scanner gran parte di queste foto. La riporto per intero:
Raimondo Caterina, Raimondo Margherita e Rissone Maria.
Questa foto è stata scattata nel 1941 a Torino, dove Margherita, affetta da linfoma, era stata portata per una visita medica.
Raimondo Caterina era mia nonna Rina, ovvero la donna sulla sinistra. Rissone Maria, la signora sulla destra, da nubile faceva Mulasso di cognome, ed era sorella di mia bisnonna e quindi zia di mia nonna. Le cosa per me più sconvolgente è tuttavia la presenza di Margherita, sorella minore di mia nonna: la data della fotografia (scattata, tra l'altro, in tempo di guerra) e il dettaglio sul motivo del viaggio ribaltano completamente il senso dell'immagine, generando istantaneamente rimandi con alcuni ricordi della mia infanzia, inducendo spontanei calcoli cronologici e l'esigenza di ulteriori informazioni, ma soprattutto costringendo l'occhio a soffermarsi sull'espressione della ragazza, sul suo sguardo serio rivolto all'obiettivo, sulla sua triste bellezza.
La mia prozia Margherita, nata nel 1926 a Canale d'Alba, morì nel 1942 all'età di sedici anni, a causa di quello stesso linfoma. La fotografia fu scattata un anno prima della sua morte, e io non oso immaginare quali pensieri si agitassero nella sua testa nel momento in cui l'ignoto fotografo premette il pulsante. Non oso immaginare il dolore provato dai suoi genitori, per me solo volti all'interno di un archivio fotogratico e protagonisti di alcuni racconti dell'infanzia, e soprattutto da mia nonna, che un giorno, quando ero bambino, mi confessò di detestare il Natale perché proprio in quei giorni le era stata portata via la sorellina. Di mia prozia Margherita non ho ricordi di prima mano, come non ne aveva mio padre, nato due anni dopo la sua morte. So che mia nonna diede il suo nome alla sua seconda figlia, mia zia, e ricordo il suo ritratto in una cornice ovale di legno scuro, appeso accanto a quello di mio bisnonno Giacomo nella stanza in cui ora gioca e dorme mio figlio Pietro. Tutto il resto sono ricordi che non ho di una prozia che non ho mai avuto.