Mentre scavavo tra i ricordi alla ricerca di quello che meglio si addica a inaugurare questo blog, ho iniziato a riflettere su cosa significhi parlare di ricordi, per una persona della mia età e della mia generazione. Del resto, i ricordi che possono trovare spazio su queste pagine elettroniche si collocano necessariamente lungo l'arco di circa tre decenni, ma il processo di sedimentazione necessario a far diventare ricordi le esperienze finirà probabilmente per escludere in una certa misura l'ultimo di essi (spero però di smentirmi in seguito). Per il momento, quindi, il serbatoio a cui attingere si colloca in un arco temporale relativamente ristretto, ovvero quello che copre il ventennio Ottanta-Novanta.
Inevitabilmente tale periodo storico, accompagnandosi a precise coordinate geografiche, sociali e quant'altro, definisce la natura dei miei ricordi. Ciò è di per sé scontato, ma mi dà da pensare la distanza che intercorre tra i ricordi che io mi accingo a trascrivere, immaginando di raccontarli ai miei figli, e i ricordi che invece io ho vissuto da ascoltatore quand'ero a mia volta bambino. Penso ad esempio ai racconti dei miei nonni paterni, nei quali emergeva spesso l'esperienza della guerra, e anche se non ne ho un ricordo molto chiaro, mi sembra di sentire in corpo il sapore delle parole di mia nonna Rina mentre nella penombra della sua camera da letto mi raccontava di quanto erano stati duri i suoi tempi. Più in generale, l'aura di rustica austerità e rigore che appariva ai miei occhi nell'ascoltare i racconti di gioventù dei miei avi più prossimi, un'aura evidenziata e forse soggettivamente esagerata dal contrasto con il mio vissuto quotidiano, donava a quei ricordi un fascino epico, relegandoli in un passato tanto lontano quanto ermeticamente sigillato e abbandonato. Il presente di un fortunato bambino di estrazione borghese, nato alla fine degli anni Settanta nella florida e rassicurante reltà della provincia piemontese doveva essere presente per sempre: una condizione ereditata e data per scontata come naturale, eterna, immutabile, invulnerabile.
Gli ultimi anni, tuttavia, si sono dati da fare su diversi fronti per sgretolare almeno in parte queste certezze, e la sensazione ora è strana: forse sono troppo pessimista, ma al di là della patina di nostalgica bellezza che tira a lucido i ricordi dolci come quelli amari, se prefiguro me stesso mentre racconto della mia infanzia e della mia giovinezza a un immaginario nipotino seduto sulle mie ginocchia, mi vedo evocare una realtà mitica in cui tutto andava sempre e comunque per il meglio: quasi una sorta di perduta età dell'oro.
Inevitabilmente tale periodo storico, accompagnandosi a precise coordinate geografiche, sociali e quant'altro, definisce la natura dei miei ricordi. Ciò è di per sé scontato, ma mi dà da pensare la distanza che intercorre tra i ricordi che io mi accingo a trascrivere, immaginando di raccontarli ai miei figli, e i ricordi che invece io ho vissuto da ascoltatore quand'ero a mia volta bambino. Penso ad esempio ai racconti dei miei nonni paterni, nei quali emergeva spesso l'esperienza della guerra, e anche se non ne ho un ricordo molto chiaro, mi sembra di sentire in corpo il sapore delle parole di mia nonna Rina mentre nella penombra della sua camera da letto mi raccontava di quanto erano stati duri i suoi tempi. Più in generale, l'aura di rustica austerità e rigore che appariva ai miei occhi nell'ascoltare i racconti di gioventù dei miei avi più prossimi, un'aura evidenziata e forse soggettivamente esagerata dal contrasto con il mio vissuto quotidiano, donava a quei ricordi un fascino epico, relegandoli in un passato tanto lontano quanto ermeticamente sigillato e abbandonato. Il presente di un fortunato bambino di estrazione borghese, nato alla fine degli anni Settanta nella florida e rassicurante reltà della provincia piemontese doveva essere presente per sempre: una condizione ereditata e data per scontata come naturale, eterna, immutabile, invulnerabile.
Gli ultimi anni, tuttavia, si sono dati da fare su diversi fronti per sgretolare almeno in parte queste certezze, e la sensazione ora è strana: forse sono troppo pessimista, ma al di là della patina di nostalgica bellezza che tira a lucido i ricordi dolci come quelli amari, se prefiguro me stesso mentre racconto della mia infanzia e della mia giovinezza a un immaginario nipotino seduto sulle mie ginocchia, mi vedo evocare una realtà mitica in cui tutto andava sempre e comunque per il meglio: quasi una sorta di perduta età dell'oro.
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