mercoledì 20 ottobre 2010

l'occhio invisibile


La foto che ho scelto come intestazione di questo blog (così come quella che compare come immagine del profilo) è stata scattata da mio padre nel 1981, all'epoca in cui io avevo la stessa età che ha ora mio figlio Pietro. E' ambientata nel salotto della casa dei miei genitori, e mi ritrae in una delle abitudini della mia infanzia, ovvero quella di sedermi sul davanzale della finestra con la schiena contro il muro e guardare al di fuori. Adoravo il calore che emanava dal termosifone sottostante, a cui si aggiungeva, nelle giornate di sole, il tepore che filtrava dai vetri. Se mi sforzo riesco anche a evocare la ruvida sensazione della tapezzeria che sfregava contro la mia maglia. La cornice della finestra inquadra un panorama familiare ora evolutosi e sovrastato da nuovi alberi cresciuti negli anni. A giudicare dal mio abbigliamento e dal bianco che sembra colorare uno dei tetti che si intravedono in lontananza, direi che era una giornata d'inverno. Chissà se ero in attesa del Natale.

All'epoca, mio padre non aveva soltanto l'hobby di scattare fotografie, ma anche di svilupparle. A distanza di così tanti anni, se penso alle apparecchiature, alle vaschette di plastica verde, rossa e bianca, alle pinze, mi sale ancora su per il naso l'odore che permeava il bagno della mansarda in cui lui si dedicava al suo passatempo, un odore acre forse dovuto al liquido in cui immergeva le fotografie. Sono sicuro che tutta l'attrezzatura sia ancora intatta nel solaio della casa dei miei genitori, e non nascondo che a volte mi è anche balenata in testa l'idea di riesumarla e cimentarmi nell'impresa. Poi naturalmente la mia naturale pigrizia mi ha puntualmente distolto dal benché minimo tentativo, e l'avvento della fotografia digitale e della carta fotografica per stampanti casalinghe hanno fatto il resto.

Amo queste foto non solo perché evocatrici di ricordi intensi e piacevoli, ma anche in quanto costituiscono per me una testimonianza preziosa di qualcosa d'invisibile. Vivo queste foto come un'emanazione dolce e amara del loro artefice da poco scomparso. Esse rappresentano infatti lo sguardo di mio padre, e in esse io non vedo solo me stesso, ma il me stesso guardato, selezionato, inquadrato, curato, coccolato dall'occhio di mio padre. Guardandole, posso provare a immedesimarmi in lui nel momento di premere il pulsante, entrare nei suoi panni, essere lui e tentare di immaginare come vedeva quel bambino inquadrato dall'obiettivo, così simile al bambino che ora io stesso fotografo.

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